lunedì 18 gennaio 2010

Il cibo come oggetto di educazione e i consumi consapevoli


In quanto atto culturale, l'alimentazione non può prescindere dalla dimensione educativa, dalla trasmissione di logiche e valori condivisi da una comunità, piccola o grande che sia. Anche il gusto, se letto in questo senso, assume una nuova sfumatura di significato: ci appare come espressione sì di un’individualità, ma calata e immersa in un contesto sociale e culturale che sia la famiglia, la scuola, gli amici, la regione nella quale si è cresciuti o si abita, la fede religiosa, ecc... «L'uomo è un animale sociale», diceva Aristotele. Inevitabilmente perciò cresce modellandosi ed essendo modellato dalla relazione con gli altri, influenzato e plasmato da una progressiva acquisizione di conoscenze e pratiche derivate dallo scambio intersoggettivo.

Guardiamo all'oggi: viviamo sempre di più in un mondo globalizzato, soprattutto per quanto riguarda l’informazione. Ci accorgiamo che non siamo più legittimati ad ignorare che i nostri stili di vita ed i nostri consumi hanno delle ripercussioni a livello globale. Agli inizi degli anni ’80 abbiamo visto emergere, sotto i nostri occhi di occidentali, il fenomeno di una nuova povertà, che assume sempre più le sfumature del paradosso se raffrontata agli immensi sprechi di un surplus alimentare che viene letteralmente distrutto allo scopo di mantenere stabili i prezzi dei mercati europei. Nel 1996 è scoppiata la crisi della mucca pazza, seguita dal dibattito sugli Ogm. I media hanno portato alla ribalta notizie come l’impiego di farine animali nei nutrimenti dei bovini, l’aumento dell’obesità infantile, la disinformazione dei consumatori sulle filiere alimentari, il cambiamento climatico, lo sfruttamento dei lavoratori ad opera di alcune multinazionali, i potenziali rischi per la salute causati ad esempio da un consumo elevato di alimenti che contengono additivi e così via, contribuendo così a diffondere una sensazione di «crisi permanente» [Poulain, 2008, Alimentazione, cultura e società, Il Mulino, Bologna].

Le industrie alimentari, così come le realtà istituzionali e le associazioni di consumatori, avvertono la necessità di rassicurare il consumatore fornendogli nuove garanzie, certificazioni di qualità, nuovi criteri di orientamento e di scelta.

Le scelte alimentari (ma non solo) di oggi non indicano più solo il nostro posto all’interno della nostra cultura, della nostra piccola comunità, ma vanno ad evidenziare anche la posizione che vogliamo occupare rispetto al mondo intero, ad una società non più nazionale, né occidentale, ma globale e globalizzata, all’interno della quale ciò che si sceglie di mangiare in Europa avrà delle ripercussioni in Guatemala o in Sri Lanka.

Il potenziale significato di un alimento assume così nuove valenze, diventando se possibile ancora più pregnante e ricco di implicazioni simboliche. Il cibo raccoglie in sé una capacità di realtà nuova, un’efficacia rispetto al mondo economico dei consumi (capacità di indirizzare il mercato) ed al mondo simbolico del consumatore.

I consumi, in quanto «area privilegiata della produzione culturale contemporanea» [Bovone, Mora (a cura di), 2007, La spesa responsabile. Il consumo biologico e solidale, Donzelli Editore, Roma] possono così tradursi in una nuova forma di cittadinanza, di lotta politica, di azione “consapevole e finalizzata”.

Si sente parlare spesso, ultimamente, di consumi “etici”, “responsabili”, “consapevoli”, ecc… Proviamo a definirli meglio. Laura Bovone ed Emanuela Mora hanno individuato tre modelli di responsabilità da parte del consumatore: una «responsabilità verso se stessi (scelta di prodotti per il benessere e la felicità personale, il biologico come scelta salutista); verso gli altri (prodotti che combattono la povertà e sostengono azioni di solidarietà e giustizia, tutti quei prodotti che possiamo definire equi e solidali); verso l’ambiente (consumi ecologici/sostenibili; preferenza per il biologico per motivi ambientali ecc…)».

La frontiera dei consumi consapevoli non solo rassicura rispetto alle paure e alle ansie alimentari che sembrano moltiplicarsi ogni giorno – partendo dalla mucca pazza fino ad arrivare all'influenza aviaria, dall'ossessione per il cibo sano, alle patologie alimentari – ma riplasma le identità in una logica più ampia, che tiene conto di un nuovo rapporto con l’altro, con l’ambiente, con le risorse, di una nuova socialità e di una nuova moralità. Attraverso le scelte alimentari consapevoli, il consumatore si fa portatore non solo della sua realtà presente, ma anche di quella futura, il mondo in cui vorrebbe vivere.

E' dunque oggi indispensabile porsi la domanda: in che mondo vogliamo vivere?


1 commento:

  1. mi pare proprio una bella domanda...
    troppo semplice e banale rispondersi 'in uno migliore'!

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