martedì 16 febbraio 2010

Magnagatt rinnegati


Chiudo il computer.
Sto preparando i prossimi post per il blog di Mora e Riccio, quello sull'alimentazione, quello per i bambini.
Alzo il volume della radio arancione, appoggiata alla mia sinistra. Mentre lavoro, la tengo con il volume basso basso, appena percettibile.
Mi sollevo dalla sedia e mi dirigo verso il frigorifero. In effetti il mio stomaco inizia a brontolare, ma oggi ci vuole fantasia: non faccio la spesa da giorni e le provviste disponibili si concentrano in qualche foglia di cavolo nero, quattro carote mollicce, semi di girasole, e qualche avanzo di formaggio.
Insomma, metto su l'acqua: mi decido per una pasta con cavolo nero saltato in padella con qualche semino e un paio di cubetti di gorgonzola piccante.
Alla radio Passatel, la Milano di sinistra e dintorni che telefona per fare i suoi annunci (vendo, regalo, scambio, cerco).
Intanto tagliuzzo il cavolo piccolo piccolo.
Non seguo attentamente la trasmissione. Mi limito a godere del vociare indistinto che mi permette di perdermi nei miei pensieri senza accorgermene.
Ad un tratto, però, una frase mi cattura. Proprio lì. Proprio mentre sono alle prese con il mio coltello, la mia verdura e il mio sale da cucina.
Un'ascoltatrice ha telefonato per avvisare che "alla prova del cuoco hanno appena proposto una ricetta per cucinare i gatti!".
Cosa? Il mio primo pensiero è che sia uno scherzo. Figurati, penso. E poi La Prova del Cuoco è un programma per signore, penso.
Alla radio la reazione è simile. Sulle prime non ci si crede.
Poi scatta l'indignazione.
Cucinare gatti?
Ma non si fa! I gatti non si mangiano. E parlarne in televisione è una vergogna!
Certo, gli italiani sono sempre stati delle buone forchette, ma siamo pure amanti degli animali!
Beh... almeno di quelli domestici.
E via con il polverone!
L'intervento incriminato è quello del giornalista Bigazzi (il video si può guardare qui http://www.youtube.com/watch?v=VoD7E3hGwu0). Il viso della conduttrice è a dir poco eloquente. Non ascolta. E' incredula. Si guarda intorno in cerca di aiuto. Ripete "Otello no!".
I telespettatori sconvolti, le proteste dei Verdi e dell'ENPA. Infine la sospensione di Bigazzi.
Non c'è via d'uscita. Condanna unanime.
Eppure i gatti si mangiavano durante la guerra, quando non c'erano salsicce, polli o costolette di agnello a disposizione.
Perché le ricette a base di maiale, vacca, ovini, caprini, polli e così via non destano scalpore e anche solo il ricordo di un pasto a base di gatto ci indigna a tal punto?
Il gatto è per noi un alimento estremo (vedi post del 13 dicembre 2009 e precedenti).
Al contario ci cibiamo senza colpo ferire di rane, lumache, conigli e cavalli. L'idea di mangiare di questi ultimi, ad esempio, scatenerebbe fra Inglesi e Americani una reazione di disgusto pari a quella che proveremmo noi al pensiero di cucinare il nostro cane (animale perfettamente commestibile, consumato in molti paesi asiatici).
Certo, potendo scegliere...
Ma certe volte, nella storia, non si è potuto scegliere ("chi non ha ciccia, mangia i gatti") e potrebbe succedere ancora.
Ci vergogniamo di essere stati poveri? Ci vergogniamo dei nostri nonni che hanno vissuto in epoca di guerra? Dei partigiani e dei contadini che hanno dovuto ricorrere ad alimenti degni di una belva e non di un uomo? Del fatto che abbiano provato (e forse ci siano riusciti) a trarre da questi pasti, al limite fra natura e cultura, un briciolo di piacere sensoriale, in momenti in cui era forse l'unico piacere possibile?
Perché non si può dire che i gatti hanno un buon sapore?
Probabilmente è vero.
E' anche vero che noi non avremo mai il dis/piacere di provarlo sulla nostra lingua.
Personalmente credo che quella di Bigazzi sia stata una provocazione, inaccettabile per molti, ma che dovrebbe invitarci a riflettere sul nostro passato senza censure.
Dopotutto, è vero che anche il Conte Ugolino è stato cacciato da Dante all'Inferno, ma per aver tradito i suoi compagni politici, non per aver divorato i suoi figli durante la prigionia! Il pensiero di quell'atto disperato ancora oggi scatena in noi non scandalo, ma rabbia, senso di ingiustizia e compassione.