Progetto Kishkindha

Un progetto di ricerca sul corpo e il movimento, esplorati in senso artistico, antropologico, sociale e pedagogico.


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Kishkindha.

Il nome di una città mitica, la capitale del regno delle scimmie narrata nel Ramayana. Si dice che quella fosse la terra di nascita di Hanuman, venuto al mondo proprio sul picco di roccia rossa che sovrasta risaie e banani sulla riva nord del Tungabhadra.




Autoscatto sul Tungabhadra, Foto di Daria Mascotto, 2011.


Hanuman è considerato una discesa zoomorfa, per metà uomo, per metà scimmia, di Shiva. Nata da vento e nuvole. 
Fu amico e aiutante di Rama nell'epico poema. 
Personifica saggezza, giustizia, onestà e forza.


Hanuman's Temple, Hampi, Karnataka.
Foto di Daria Mascotto, 2011.
Ciò che resta dell'antica città imperiale di Kishkindha è oggi una delle aree archeologiche più estese al mondo, immersa in un paesaggio metafisico, surreale ed estremamente potente. 

Tra le case e le strade di terra battuta intorno al tempio di Shiva non ci si segna la fronte con la kurkuma, ma con la cenere. Le vacche dormono placide e padrone nelle strade buie, i cani si attardano. Le scimmie si sono ritirate nelle loro alte dimore e il fiume scorre silenzioso. Il vento blandisce le pietre e le fa cantare. 

Uomini, donne, rocce, piante, animali, vivono insieme danzando sopra la stessa terra e sotto lo stesso cielo.



Tungabhadra, Foto di Valeria Scalvini, 2011.
Thungabhadra, Foto di Daria Mascotto, 2011.

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Condividere il movimento danzato.

Se devi costruire una nave, non radunare uomini per raccogliere legna e distribuire compiti, ma insegna la nostalgia per il mare infinito. 
(Antione de Saint-Exupéry)



Credo profondamente che le persone abbiano bisogno di creare e condividere significati e che il modo più efficace per condividere sia ‘il fare’, ‘il pensare’, ‘l’osservare’ insieme. Questo presuppone innanzitutto l’esserci, con il nostro corpo, in tutte le sue componenti e forme espressive.

Condividere il movimento danzato è per me utopia etica, estetica e sociale.

Accompagnarsi con gentilezza e generosità, per esperire insieme il piacere della scoperta, della bellezza, dell’armonia, della varietà, della libertà e della relazione, per inseguirlo poi. Nella vita tutta. Godere della tensione trasformatrice, della folle lucidità dell’equilibrista in bilico sulla contraddizione, sospeso sul conflitto onnipresente. Esercitare l’arte della presenza, dell’intenzione, dell’analisi critica e della rigenerazione. Compiere insieme una ricerca che apra e congiunga mente e corpo. Trasformare la pratica in conoscenza e la conoscenza in pratica (quotidiana).

Seminare il cambiamento sociale nella neve, nel vento, nelle città.


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Il Bharata Natyam


Daria Mascotto nelle pose delle divinità Shiva Nataraja e Ganesh.
L'ultima a destra è una posa di danza astratta, geometrica, pura (nritta). 2013.


Balasaraswati, danzatrice.
www.balasarswati.com
Nato come danza rituale, preghiera e meditazione in movimento nell’ambito della millenaria tradizione induista, condivide un profondo legame filosofico con lo yoga. Per molti secoli è stato eseguito come parte del rituale quotidiano del tempio dalle Devadasi, danzatrici e sacerdotesse, e solo nel Novecento è diventato un’arte scenica eseguita in tutto il mondo. Oggi, il teatro-danza indiano, è riconosciuto essere fra le più antiche e raffinate discipline corporee esistenti. Caratterizzato per complessità tecnica e formale, ricchezza ritmica, poetica, gestuale ed espressiva, lo stile Bharata Natyam, originario dell'India del Sud, pone l'accento sulla tensione dinamica, sulla geometria delle linee strutturali, sulle simmetrie e la coordinazione di ogni singola parte del corpo, oltre che sulla mimica facciale e l'esplorazione degli stati d'animo. L'acronimo Bha-ra-ta sta ad indicare le tre componenti fondamentali dell'arte: BHAva (stato mentale), RAga (scala melodica) e TAla (ritmo). Dall'unione di questi elementi scaturisce un linguaggio simbolico/analogico di forte impatto emotivo, capace di condurre il danzatore e lo spettatore all'estasi conosciuta in India come rasa (succo, seme, sintesi, sapore), stato mentale in cui il valore estetico diventa veicolo di crescita spirituale.


Shiva Nataraja, il Signore della Danza,
disegnato da Sanjay Patel.
LA PRATICA

Dedicarsi allo studio del Bharata Natyam richiede tempo, concentrazione, il coraggio e la fiducia dell'abbandono, grande disciplina e dedizione. Nella pratica sono coinvolti in egual misura il corpo con le sue emozioni, sensazioni e immagini mentali; il visibile e l'invisibile; l'ideale e il reale. Attraverso il respiro si aprono i canali della vibrazione che genera il movimento, con l'esercizio fisico (adavu) si rafforza il corpo, si esplorano le sue linee, segmentazioni e possibilità di movimento. Si esercitano senso ritmico, equilibrio, memoria, coordinazione, presenza. Approfondendo il linguaggio simbolico delle mani (mudra), delle diverse posture (sthana) ed esercitando le espressioni del viso (abhinaya), si possono danzare fiori che sbocciano, animali nella foresta, si incarnano divinità, storie e leggende di una cultura millenaria. Il viaggio è innanzitutto dentro se stessi: il contatto con un immaginario dell'arte diverso da quello dominante ci permette di sperimentare nuove modalità di comunicazione e di relazione.



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Danza Educativa e di Comunità

E' che proprio sul corpo l'uomo deve imparare tutto, assolutamente tutto: impariamo a camminare, a soffiarci il naso, a lavarci. Non sapremmo fare niente di tutto questo se qualcuno non ce l'avesse spiegato. All'inizio l'uomo non sa niente. Niente di niente. […] Sentiamo, ma dobbiamo imparare ad ascoltare, vediamo ma dobbiamo imparare a guardare. Mangiamo ma dobbiamo imparare a tagliare la carne. [...] Imparare vuol dire prima di tutto imparare a essere padroni del proprio corpo.

Daniel Pennac, Storia di un corpo

Laboratorio di danza educativa  per la scuola primaria
"Mi bastan poche briciole", 2014/15
a cura di Daria Mascotto.



Per crescere, tutti abbiamo bisogno di esplorare le possibilità del nostro strumento di azione nel mondo: il corpo-mente. Anche le neuroscienze hanno ormai definitivamente accettato il fatto che l’uomo pensa, sente ed immagina con tutto il corpo, non solo con il cervello. Questo esercizio, istintivo e necessario, dovrebbe essere, quantomeno in fase evolutiva, una scoperta gioiosa e piacevole. Costruendo un linguaggio comune sotto uno sguardo accogliente, critico ma non giudicante, l’esperienza può diventare condivisa e consapevole, trasformandosi in qualcosa di più, gettando un ponte fra il pensare e il fare.
Attraverso la danza educativa i bambini e i ragazzi, femmine e maschi, possono sperimentare un lavoro di ricerca esperienziale sul proprio movimento, allenando così la capacità di “sapersi muovere”, cioè di creare e interpretare in termini intenzionali e comunicativi il proprio movimento.
La danza educativa permette a bambini e ragazzi di entrare in contatto, esplorare, esprimere e prendere coscienza del proprio mondo interiore grazie a processi immaginativi e drammatici attivati con il corpo. La danza educa e forma perché trasforma, e crescere non è altro che continuo mutamento, movimento.


I laboratori di danza educativa nelle scuole possono essere pensati e strutturati per i vari cicli scolastici, aperti all’integrazione di ogni tipo di diversabilità e correlati a tematiche specifiche (l’educazione musicale, interculturale, alimentare, la scrittura creativa, l’avvio alla lettura, l’integrazione alle arti visive e plastiche, la sostenibilità, ecc...).


Il grande cerchio.
Stage di formazione di pedagogia attiva e anti-autoritaria,
Centri Rousseau 2014.


I laboratori di danza di comunità, applicano gli stessi principi della danza educativa fuori dalle scuole, e possono essere rivolti a tutti i soggetti sociali: giovani, adulti, anziani, gruppi intergenerazionali, genitori e bambini.
Possono essere realizzati in centri sociali, sportivi o culturali, nei luoghi di disagio e cura, nelle cascine, nelle piazze, nelle strade...